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Le frasi giuste da dire ai figli

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Ci sono certe frasi che si dicono ai figli che non mi sono mai piaciute, del tipo “Non capisci niente!”, “Sei proprio uno sciocco!”, “Ti devo spiegare tutto!”, e altre frasi simili. Modi di rivolgersi ai propri bambini che non portano a nulla, se non farli sentire delle cacche puzzette e magari bloccarli dall’imparare veramente.“Non le dirò mai ai miei figli!”, mi ripeto sempre. Ma poi ieri ho aggredito Matteo con un secco “Lascia stare, non sei capace! Lo faccio io!”. Un’affermazione che mi ha tolto il fiato appena l’ho pronunciata, tanto era carica di fastidio nei confronti del mio bambino. Cosa ho fatto? Ho trattato mio figlio proprio come mi ero ripromessa di non fare! Ripensandoci non è stata la prima volta che ho aggredito verbalmente i miei figli: ovviamente non con l’intento di ferirli e farli sentire degli inetti, ma comunque quelle frasi “antipatiche” le ho pronunciate. Poi proprio stamattina mi capita in mano una rivista per famiglie e sfogliandola, trovo in un’intervista alla pediatra e scrittrice americana Wendy Mogel, lo spunto di riflessione di cui avevo bisogno. Nell’articolo si sottolineano tutta una serie di espressioni che un genitore potrebbe usare per rivolgersi al proprio figlio, frasi che non solo hanno l’obiettivo di “rispondere” alla domanda o richiesta contingente, ma anche di mandare un’informazione più approfondita, come se tra le righe fosse stato inciso un codice da decriptare, un messaggio subliminale. Ecco cosa mi serve, un nuovo vocabolario, un frasario alternativo per sostituire quelle espressioni che tanto odio. Per esempio:“Devo riflettere su questa cosa”. Alle volte si viene martellate da domande pressanti, richieste affannose da parte dei mostriciattoli e, colte alla sprovvista, si da una risposta di cui magari, 10 minuti dopo ci si pente ma ormai è troppo tardi. Il dire “devo riflettere su questa cosa” da alla mamma un margine di tempo per ponderare la risposta; sottolinea anche la posizione di autorità  che ha il genitore e cosa più importante, il bambino impara piano piano che le persone si possono prendere del tempo per valutare i pro e i contro di una questione. Ciò potrebbe risultare importante in futuro, magari durante l’adolescenza, quando a tuo figlio chiederanno di partecipare a delle idiozie di gruppo: se per tutta l’infanzia è cresciuto con l’abitudine di ponderare, allora, forse, c’è la possibilità  che dica “No” alla gara di rutti e scorregge dopo essersi tracannati quattro pinte di birra.“Come ti senti?”. Tuo figlio fa qualcosa di giusto o di sbagliato e tu dai un commento: “Ma sei stato proprio bravo!” “Ma insomma! Ma non vedi cosa hai combinato??”. Siamo noi a dare un valore all’azione compiuta. Il che non è sbagliato in sè, però potrebbe essere utile anche delegare a tuo figlio la responsabilità  di commentare la sua stessa azione. Dopo che ha fatto qualcosa, si può chiedergli come si sente e lentamente insegnargli a valutare da solo ciò che di giusto e di sbagliato fa.

“Vediamo se ne caviamo qualcosa di buono da questo“. Ha saltato il pomeriggio di giochi con l’amico del cuore. Comincia a piovere e non si può più andare al parco. Sono tante le delusioni che i figli affrontano quotidianamente, contrattempi che per noi adulti non hanno quasi significato, me che per loro sono sinonimo di disastro immane e tragedia inaudita. Non si può fare nulla per evitarli e, anzi, non si deve fare nulla perché anche la delusione insegna. Ma come si può aiutare un bambino deluso? Proponendogli di vedere il lato positivo della situazione. Più facile a dirsi che a farsi, dirai tu. Vero, ma dopo che ha smesso di piangere, potresti sederti accanto a lui e chiedergli cosa ne pensa se insieme, tu e lui, fate un piano di riserva per passare comunque il tempo: per esempio fare una torta insieme. Sarebbe dovuta essere la torta da offrire all’amico del cuore, ma il fatto che lui non possa venire, non significa che la torta non si debba fare e mangiare comunque. Questo esercizio di trovare vie di uscita a situazioni difficili, potrebbe risultare in una carta vincente quando sarà  grande.

“Ascolta il tuo corpo”. Tu mamma sai quasi sempre cosa può aver causato quella linea di febbre, quel mal di pancia, quel livido grosso come un melone. Potrebbe essere utile, invece di spiattellare la diagnosi, lasciare che siano loro a ricostruire i fatti e ad arrivare alle conclusioni. Con un po’ di aiuto saranno loro stessi a dirti “Ho mal di pancia perché ho mangiato troppe caramelle” e questa constatazione potrebbe fornire gli strumenti per imparare a controllare meglio le proprie azioni, essendo più consapevoli delle conseguenze a cui esse portano.

“Prendi fiato”. Siamo spesso preda di giorni frenetici, mille cose da fare, mille emozioni da gestire, impegni da organizzare, persone che richiedono la nostra attenzione. Anche i nostri bambini vengono presi dal vortice degli impegni: lo vedo soprattutto in Matteo quando ha molte cose per la testa. Perde la concentrazione, diventa nervoso, irascibile, capriccioso. Ecco il momento per chiedere una pausa, per tirare il fiato e per ritrovare quell’equilibrio interno che gli permetta di riprendere più serenamente ed efficacemente le sue attività .

“Riprova”. Il tuo bambino ti risponde male e ti disobbedisce e tu vorresti  tirargli il collo. Fermati e mantenendo un tono fermo, serio e chiaramente contrariato, digli: «Così non va bene. Prova a rispondermi meglio/a comportarti meglio…». In pratica gli daresti una seconda chance di rimediare, una possibilità  per capire che così non va ma che può comunque fare la cosa giusta. Non sempre funzionerà , anzi, scommetto che molto spesso tuo figlio ripeterà  la sua rispostaccia esattamente nella stessa maniera. Ma è un modo che potrebbe fare breccia nella sua testardaggine e irruenza, prima o poi. In preda ai sentimenti forti di un capriccio, i nostri figli parlano prima che il loro cervello sia completamente “acceso”: ecco quindi che questa seconda possibilità  che gli viene data per ritentare con un approccio più gentile, potrebbe aiutarli a calmarsi e a ragionare in maniera più chiara.

Attenzione però! Questo metodo potrebbe nascondere un inghippo: a Matteo diciamo che quando fa i capricci è perché non ha acceso il cervello; a lui questa spiegazione piace tanto…così tanto che la usa a sua vantaggio.

«Ma io devo fare i capricci, mamma, ho il cervello spento! Se mi dessi un biscotto però, credo che avrei abbastanza energia per riaccenderlo e allora sicuramente sarei più bravo!».

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